Il senso.
Mentre guardavo Civil war mi sono chiesta il senso delle guerre. Il senso dei fotografi di guerra. Il senso… della vita.
Domande importanti per un film che mi aspettavo più spettacolare e che invece si è rivelato quasi introspettivo.
Della guerra civile del titolo viene spiegato poco ma dopotutto forse il messaggio era che non ci può essere nessuna spiegazione sensata per una guerra.
Quindi incontriamo Lee Smith, famosa fotoreporter di guerra che
insieme a Joel cerca di documentare la nuova guerra civile americana. Durante un’uscita ad una manifestazione incontra una giovanissima fotografa che viene malmenata dalla polizia e tra le due si stringe subito un legame di interesse e rispetto, soprattutto dopo che Lee salva la ragazzina dalla deflagrazione di una bomba.Rientrata in hotel Lee decide di recarsi a Washington insieme a Joel in quella che si potrebbe definire una missione suicida raggiungere la capitale e provare ad intervistare il presidente: il paese è devastato da milizie ufficiali e non e spostarsi tra uno Stato e l’altro è impresa proibitiva. All’alba però si uniscono all’impresa anche l’anziano scrittore del NY Times e la giovanissima fotografa del giorno prima.
Lee non è d’accordo ma accetta la nuova compagnia e così partono per un viaggio di oltre ottocento miglia con la jeep marcata “stampa”.
Jessie si accorge subito che fare la fotografa di guerra è un lavoro che mette a dura prova la propria umanità oltre che la propria vita e si blocca davanti all’orrore delle derive della guerra.
Lee capisce le fragilità della giovane ma continua a non essere d’accordo sulla sua presenza in quel viaggio. Jessie invece inizia ad appassionarsi all’adrenalina che la paura provoca e inizia a scattare durante raid e fucilazioni facendosi prendere dall’azione.
Mentre Jessie si appassiona alla voglia di testimoniare ogni attimo Lee sprofonda in veri e propri attacchi di panico ripercorrendo mentalmente tutte le atrocità vissute sul campo.
Quando arrivano a Washington gli animi delle due fotografe non potrebbero essere più diversi: Lee arranca mentre Jessie si butta dietro i soldati scattando a più non posso e la resa dei conti arriva all’interno della Casa Bianca quando la ragazzina, presa dall’adrenalina dell’azione militare si espone agli spari e Lee le fa da scudo con il suo corpo. Mentre la veterana cade sotto i colpi di arma da fuoco Jessie, sotto di lei, ne fotografa la sequenza di morte.
La scena è molto forte, emblematica ed estremamente odiosa: Jessie sembra quasi aver creato quel momento e nonostante un iniziale momento di shock si rialza per raggiungere il Presidente e documentare il momento in cui verrà freddato.
Tante sono le domande che la protagonista si fa durante il film e altrettante penso siano quelle che si fanno gli spettatori. Può essere già un merito ma comunque Civil war non mi ha convinta del tutto e il personaggio di Jessie non mi è piaciuto mentre ho trovato molto credibile Joel e Lee in alcuni momenti.
Fuori luogo alcuni sottofondi musicali (tipo quello della fucilazione) mentre in generale ho trovato piacevole l’intera fotografia del film a cura di Rob Hardy.
Nota: Jessie durante il film usa una Nikon F2. Coi rullini. Scelta molto pretenziosa, sia per la protagonista che per gli sceneggiatori. E poco credibile, direi, visto la quantità di scatti che sembra fare la ragazzina.
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