Articolo comparso su Il sole 24 ore a... Dicembre 2009 a cura di Tom Jefferson (coordinating editor Cochrane Vaccines Field)!
La verità sui vaccini: nessuno sa
se e quanto funzionino davvero
I vaccini antinfluenzali inattivati
con o senza adiuvanti (la fetta preponderante di mercato) sono prodotti
con pezzi di virus “morti” assomiglianti il più possibile ai virus che
probabilmente circoleranno nell’autunno successivo. Sono nuovi ogni
anno: la “ricetta” resta la stessa, gli
ingredienti cambiano. Scegliere gli
antigeni è una procedura delicata perché le risposte delle nostre difese immunitarie sono molto specifiche.
Non solo. Siccome l’intera procedura è basata sulla previsione, non possiamo verificare se realmente il vaccino previene i sintomi prima di registrarlo. Dobbiamo affidarci a misure
intermedie, detti “esiti surrogati”: le
risposte anticorpali indotte dal vaccino in una serie di volontari, confrontate con quelle indotte in volontari
cui è stato iniettato placebo. Per essere certo che le caratteristiche dei due
gruppi siano uguali, devo assegnare i
volontari all’uno e all’altro braccio
su base causale (randomizzazione). Il
trial randomizzato è considerato il
metodo più affidabile per valutare
l’efficacia di qualsiasi farmaco anche se raramente,
per la scarsa durata e le piccole dimensioni, può rilevare effetti indesiderati rari, ovvero a lungo termine.
La forza dell’assegnazione casuale sta nel fatto che le diversità note e
ignote fra partecipanti si annullano a
vicenda essendo presenti in egual misura nei due bracci. Nel caso dei
vaccini antinfluenzali la debolezza
sta nell’uso inevitabile di quantità di
anticorpi come esito surrogato. È difatti discutibile la relazione fra esito
vero, detto di campo (diminuzione o
prevenzione dei sintomi, interruzione
della trasmissione virale, diminuzione delle complicanze e mortalità) ed
esito surrogato. Ma c’è un rimedio
utile: la sintesi di tutti gli studi eseguiti su vaccini che hanno usato tecnologie simili alle attuali. Il loro studio
dovrebbe darci un’idea della performance passata e futura.
La revisione sistematica dei vaccini antinfluenzali è stata condotta nell’ultima decade dividendo la performance per fasce di età e rischio. Il
mio gruppo ha condotto e aggiornato
ogni 2-3 anni molte revisioni nell’ambito della collaborazione Cochrane,
una rete internazionale di ricercatori
e consumatori che conducono revisioni su centinaia di interventi (farmaci,
vaccini ecc.) non a fini di lucro. Recentemente abbiamo condotto e pubblicato una maxi-revisione di tutti gli
studi (274) condotti su tutte le età e i
gruppi di popolazione pubblicati dal
1949 al 2007 che riportassero esiti di
campo, e confrontassero la performance dei vaccini con placebo o col
non far niente.
Nonostante i numerosi aggiornamenti, le nostre conclusioni non sono
cambiate molto. Prove di buona qualità (soprattutto trial) dimostrano che
nei bambini sotto i due anni i vaccini
sono inefficaci. Nei bimbi più grandi, negli adolescenti e negli adulti
sani i vaccini hanno una certa efficacia nel prevenire i sintomi e accelerano il ritorno al lavoro di mezza giornata in media. Le cose si complicano
negli anziani, nonostante la mole di
studi eseguiti (70 che riportano osservazioni su 100 stagioni influenzali in
continenti diversi lungo 50 anni). I
trial rilevanti sono solo 3: uno è un
piccolo studio di sicurezza, uno è
stato terminato precocemente per motivi mai chiariti e
l’ultimo, che ha oltre 15 anni, mostra un beneficio
nella prevenzione
dei sintomi ma le
sue dimensioni sono tali (1.348 partecipanti) da non
poter dimostrare o meno efficacia
contro gli esiti importanti ma rari.
I rimanenti 65 studi sugli anziani
sono tali da non fornire una risposta
chiara. L’assenza di randomizzazine fa sì che qualora vi siano differenze fra i due bracci, siano spiegabili o
con gli effetti dei vaccini o con differenze fra partecipanti. Caso estremo
che dimostra la pessima qualità di
questi studi: una ventina riporta efficacia dei vaccini valutata fino al 90%
contro le morti per tutte le cause. Un
vero assurdo: ricercatori canadesi e
americani hanno poi dimostrato che
l’influenza può al massimo causare il
5% di morti negli anziani anche in
pieno inverno. L’assenza di assegnazione casuale fa sì che simili risultati
siano probabilmente imputabili a differenze fra i due bracci (a esempio
vengano vaccinati anziani in migliori
condizioni) o comunque a differenze
imponderabili. Un altro esempio è la
valutazione di effetti collaterali di
questi vaccini in studi condotti su
tutte le fasce di età, scarsamente effettuata negli studi non randomizzati.
Su 135, solo 17 studi prendono in
considerazione gli effetti collaterali.
NON TUTTO E' INFLUENZA ANZI POCHISSIMO
Vi sono altri motivi per dubitare della
qualità di quanto si legge negli studi
dei vaccini influenzali. Nella maxi-revisione
abbiamo analizzato il possibile perché dell’assunzione di queste tecnologie a livelli
globali nonostante l’assenza di prove convincenti sulla performance. Abbiamo analizzato la relazione interna fra le varie parti dei
testi degli studi pubblicati, se le conclusioni
erano giustificate dai dati, il livello di prestigio delle riviste su cui erano stati pubblicati,
il loro livello di citazione e da chi erano stati
finanziati. I risultati sono stati illuminanti.
C’era una relazione fra la qualità metodologica dello studio e le conclusioni: gli studi
buoni avevano una probabilità 16 volte superiore di quelli di cattiva qualità di riportare
risultati sfavorevoli ai vaccini e coerenti con
i risultati presentati. Gli studi con finanziamento pubblico sostenevano conclusioni meno favorevoli ai vaccini di quelli a finanziamento privato. Vi era poi una discordanza
netta fra quanto riportato nell’abstract degli
articoli e il testo. Come tutte le vetrine la
maggior parte degli abstract invitavano a
comprare il prodotto che poi si rivelava
scadente. Ma l’analisi successiva ci rivelava
una cosa mai vista: gli studi a finanziamento
privato avevano più probabilità di essere
pubblicati su riviste di prestigio megagalattico. Una differenza non spiegabile né con la
qualità né con le dimensioni dello studio,
probabilmente da collegare alla fame di
commesse delle grandi riviste (pubblicità ed
estratti degli studi stampati su carta pregiata
con il logo della rivista). Il ricavo di queste
riviste dalla vendita all’industria è stato
quantificato da una piccola inchiesta. Abbiamo chiesto un preventivo per la ristampa di
un articolo di 8 pagine dal New England
Journal of Medicine. La richiesta è stata di
circa 90mila euro, contro i meno di 3mila
chiesti dalla tipografia sotto casa. Nessun
ricercatore può permettersi le cifre richieste
dal Nejm senza un notevole “aiuto”.
Il colpo di grazia lo ha comunque assestato un mio collega sociologo. Ha suggerito di
mettere in correlazione l’andamento dell’indice di prestigio di pubblicazione negli ultimi venti anni su riviste degli studi in questione con l’andamento in Usa delle morti per
influenza (si veda il grafico). L’uno è in
sensibile ascesa, l’altro è stabile. La crescente importanza dei vaccini influenzali è un
evento mediatico e non di Sanità pubblica.
Abbiamo condotto una ulteriore revisione analizzando l’uso delle prove scientifiche
sui vaccini in 5 documenti di politica vaccinale: Oms, Germania, Australia, Usa, Canada e Regno Unito. Ciò che abbiamo trovato
è da brivido. Un esempio è rappresentato
dalle raccomandazioni del Robert Koch Institute Tedesco (frettolosamente rimosse dal
sito dopo la pubblicazione della revisione)
sull’opportunità della vaccinazione in gravidanza: «Per quanto riguarda la vaccinazione
antinfluenzale in gravidanza, le industrie farmaceutiche ci dicono che non vi sono studi
che valutano la sicurezza vaccinale in gravidanza, quindi i danni sono ignoti, perciò non
vi sono controindicazioni». Questo ragionamento sbalorditivo nella sua leggerezza denota anche una notevole ignoranza perché
esisteva uno studio americano eseguito su
una popolazione molto piccola che tuttavia
avrebbe dovuto essere citato.
Questo panorama non certo esaltante di
abisso fra politica vaccinale antinfluenzale e
scienza rivela una situazione complessa di
stretti legami fra industria, esperti e media
scientifici, a cui si devono aggiungere i media laici, di gran lunga i più potenti megafoni della lobby vaccinale antinfluenzale.
Vaccini inutili per non-influenze. Ritorniamo ora alla confusione fra sindrome influenzale e influenza. La consapevolezza
che la sindrome influenzale e non l’influenza dovrebbe essere il nostro bersaglio è al
tempo stesso una spiegazione del perché
vaccini e interventi specifici per due (cioè i
virus influenzali A e B) delle centinaia di
agenti possono essere tutt’al più un sostegno
e non una soluzione.
L’efficacia vaccinale, espressa in percentuale, è una funzione matematica sensibilissima al numero di casi di influenza che si
verificano in un periodo. Quindi la presenza
più o meno massiccia dei virus influenzali
detta il livello di efficacia vaccinale. Poiché
l’influenza è una causa assai modesta di
sindrome influenzale, i vaccini non potranno altro che avere un impatto modesto o
addirittura zero specialmente sulle rare complicanze, come dimostrano i dati scientifici
(si veda il succitato unico studio attendibile
sugli anziani). La buona scienza mente di
rado.
Ora guardate lo stesso concetto espresso
in maniera diversa. I dati delle torte derivano da due revisioni sistematiche. La torta
grande di sinistra indica l’ipotetico numero
di persone (10.000) che hanno partecipato
agli studi compresi nella nostra maxi-revisione in qualità di controlli. Persone seguite
attentamente per mesi durante il periodo
autunno-inverno, nonostante non fossero state vaccinate. I dati dai 274 studi (oltre 4
milioni di osservazioni) dimostrano che in
media 700 persone si ammalano ogni anno
di sindrome influenzale. A loro volta di
questi 700 circa il 10-15% ha una sindrome
influenzale causata dall’influenza, ma la fetta più grossa ha cause non identificate. Subito dopo viene la fetta dovuta ad altri agenti,
diversi e scarsamente noti al pubblico. Questo è ciò che fa vedere la torta di destra
basata su oltre 27mila campioni raccolti da
studi di buona qualità pubblicati negli ultimi
10 anni. È evidente che un intervento di
massa come la vaccinazione per colpire un
agente relativamente raro come il virus influenzale ha scarso senso. Circa l’11% dei
campioni presi da soggetti con sindrome
influenzale erano positivi per più di un agente. È impossibile in questi casi stabilire quale agente causa quali sintomi o complicazioni.
Gli interventi di Sanità pubblica che hanno più probabilità di riuscire, quindi, non
sono per necessità biologica interventi specifici per questo o quell’altro virus, ma devono essere ad ampio spettro.
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