La protagonista di "Il vino della solitudine" è Helene una ragazzina cresciuta senza amore, se non quello della sua tata: la signorina Rose. Sua madre, Bella, è una donna che rincorre la giovinezza spendendo soldi in abiti, gioielli e trattamenti per il corpo (oltre che con giovani amanti), il padre Boris non è quasi mai a casa, tutto intento a guadagnare e perdere soldi. Sullo sfondo un continente in tragico cambiamento a seguito della prima Guerra Mondiale di cui Helene sentirà gli spari vicini, senza mai temerli davvero e scoprendo dentro di sé un'inarrestabile voglia di vivere.
Un racconto crudo e doloroso, molto realistico, tristemente autobiografico.
Di Irene Némirovski ho già letto e recensito:
ed ogni volta il suo modo di scrivere mi cattura e mi trafigge il cuore. Forse perché fatico a mettere in secondo piano il destino tragico di questa scrittrice scomparsa troppo presto (deportata e morta di tifo ad Auschwitz a soli trentanove anni).
"Il vino della solitudine" non è un libro allegro, in nessuna sua pagina, anzi… è la storia triste di una ragazzina cresciuta con una madre gelida, distaccata, anaffettiva, le cui uniche attenzioni erano rivolte all'amante (il cugino Max) di quindici anni più giovane. Sullo sfondo l'amato padre Boris, nel quale la piccola Helene cercava conforto ed in cui trovava invece un muro ancor peggiore, se ci si riflette su, di quello della madre. Bella non accetta il suo destino di moglie e madre: ha sempre bisogno di essere al centro dell'attenzione e ha una sola preoccupazione: invecchiare e non piacere più.
Partiti dall'Ucraina per andare in Russia e per finire in Francia, Helene cambia molte case senza mai affezionarsi a nessuna: piene di oggetti-simbolo che nessuno usa ma che devono esserci per impressionare gli ospiti.
Ho faticato a comprendere il "triangolo" in casa: come veniva giustificata la presenza del cugino-amante quando c'era Boris? boh!
Una delle scene che mi ha colpito di più del libro "Il vino della solitudine" è quando Helene vaga come sospinta nella nebbia di San Pietroburgo dalla signorina Rose: la ragazzina le chiede spaventata di tornare a casa e lei, la sua ancora, l'unico essere che le voleva bene, sembra essersi persa sia fisicamente che mentalmente. Helene lascia la sua mano e si perdono per non ritrovarsi più. Helene riesce a tornare a casa ma l'indomani scopre che la signorina Rose è morta da sola per strada in seguito ad una caduta. Una scena che mi ha messo i brividi!
Come la fuga in Finlandia, sulle slitte, nella neve con l'esercito dei bianchi alle porte, il terrore degli ospiti della pensione ed Helene sola perché sua madre, anche in quel momento, era vicina all'amante. Una ragazzina sola al mondo, il cui dolore è stato percepibile in quasi tutte le pagine di questo libro: com'è possibile che una persona debba soffrire così tanto? Infatti ad un certo punto la Némirovsky fa dire alla sua piccola protagonista: "E' un delitto mettere al mondo dei figli, e non dare loro una briciola d'amore!". (La cosa ancora più triste è che la figura di Bella non sembra inventata ma pare proprio ispirata alla figura della madre di Irene Némirovsky!)
Nasce così lo spirito vendicativo di Helene, il desiderio di far pagare a sua madre tutta la sofferenza che le ha causato. E come? Rubandole il suo Max, con le sue stesse armi ovvero quelle della seduzione femminile che sta sbocciando in lei. Helene ci riesce anche: conquista Max, che le chiede addirittura di sposarlo, ma poi, accorgendosi di aver usato le armi di sua madre e di non essere tanto diversa da lei, gli dice che era solo un gioco e lui se ne va a Londra per sposarsi poco dopo con un'altra persona.
Scappato l'amante però la vita di Helene non cambia: suo padre è sempre dietro a parlare di come fare i soldi e sempre occupato a perderli a carte o al casinò mentre il suo fisico si consuma ogni giorno di più. Bella trova un nuovo amante e continua ad ignorare la figlia che le ricorda ogni giorno di più l'inesorabile tempo che passa. Quando il padre muore, Helene sente come di non avere più legami e se ne va di casa, senza neanche salutare la madre. L'incertezza di Helene dura poco e mentre cammina per le strade di Parigi pensa: "Non ho paura della vita. Sono soltanto gli anni di apprendistato. Sono stati eccezionalmente duri, ma hanno temprato il mio coraggio e il mio orgoglio. Tutto questo è mio, è la mia ricchezza inalienabile. Sono sola, ma la mia solitudine è aspra e inebriante".
Mi piace pensarla così, Irene Némirovsky: una donna capace di vivere, nonostante tutto.
Qui sotto alcune citazioni prese dal libro "Il vino della solitudine":
- "esisteva voluttà paragonabile a quella di correre, con i capelli sulla faccia, le guance in fiamme, il cuore in bocca?"
- "giunge un'età, infatti, in cui la pietà che avevamo per i bambini prende un'altra forma, un'età in cui contempliamo i volti rugosi dei "vecchi" e intuiamo che un giorno saremo come loro... è allora che finisce la prima infanzia".
- "ma non si gioca per vincere".
- "e per che cosa?"
- "per giocare, figlia mia".
- "A un certo grado di tragico orrore, lo spirito umano, saturo, reagisce con l'indifferenza e l'egoismo".
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