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Un giorno Coren andrò ad una mostra canina e sentì una donna chiedere un collare nuovo per il suo cane. La commessa le propose un nuovo modello fatto in tessuto e con una chiusura in plastica: resistente e che non si usurava. La donna però rifiutò l'articolo dicendo che lei aveva un corgi e i corgi devono sempre avere al collo qualcosa con del ferro o acciaio. Lo scrittore la fermò incuriosito cercando di capire la sua motivazione e la donna iniziò a raccontare: a otto anni le regalarono un corgi che
lei chiamò Toto come il cane de Il Mago di Oz. Un giorno venne a trovarla dal Galles sua nonna e l'animale agitato dalla nuova presenza morse un dito alla bimba. Solo il pronto intervento della nonna evitò danni peggiori e l'anziana disse che era tutta colpa del fatto che il cane non aveva su un collare di acciaio che tenesse a bada il suo temperamento. La bambina si fece spiegare meglio e la nonna le disse che molto tempo prima dei bambini stavano giocando in un prato a tardo pomeriggio quando videro delle strane luci, il fuoco fatuo delle fate. Seguendo i punti luminosi raggiunsero un pezzo di bosco in cui piccoli esseri alti circa quarantacinque centimetri stavano danzando in memoria dei morti in battaglia. Quello infatti era Tylwyth Teg, la più grande tribù delle fate. Legati ad un albero c'erano due cani ed un uomo spiegò ai bimbi che erano i destrieri di guerra delle fate, che oltre a condurre le fate in battaglia avevano un'insuperabile capacità: quella di condurre le mucche dove loro volevano mordendole ai garretti per portarla alla tribù che così poteva sfamarsi con il loro latte. I bambini, che con la famiglia possedevano delle mucche, furono incuriositi da quegli animali e dissero all'uomo che sarebbero stati molto utili anche a loro. Il folletto disse che potevano portarli con se ad una sola condizione: che gli avessero messo un collare con del ferro perché solo quel metallo li rendeva gestibili ed annullava l'antica maledizione di Cu Sith secondo cui dopo tre abbai consecutivi quei cani avrebbero distrutto chiunque avessero trovato davanti. I bimbi quindi si tolsero le cinture e le applicarono al collo dei cani e li condussero con se trovando loro dei perfetti compagni non solo di lavoro ma anche di vita. Ebbero solo un ultima domanda per il piccolo uomo: come li avrebbero chiamati e presentati alle altre persone? Lui rispose corgi, da cor, l'antico nome della gente piccola e che nella lingua delle fate significava semplicemente cane.
lei chiamò Toto come il cane de Il Mago di Oz. Un giorno venne a trovarla dal Galles sua nonna e l'animale agitato dalla nuova presenza morse un dito alla bimba. Solo il pronto intervento della nonna evitò danni peggiori e l'anziana disse che era tutta colpa del fatto che il cane non aveva su un collare di acciaio che tenesse a bada il suo temperamento. La bambina si fece spiegare meglio e la nonna le disse che molto tempo prima dei bambini stavano giocando in un prato a tardo pomeriggio quando videro delle strane luci, il fuoco fatuo delle fate. Seguendo i punti luminosi raggiunsero un pezzo di bosco in cui piccoli esseri alti circa quarantacinque centimetri stavano danzando in memoria dei morti in battaglia. Quello infatti era Tylwyth Teg, la più grande tribù delle fate. Legati ad un albero c'erano due cani ed un uomo spiegò ai bimbi che erano i destrieri di guerra delle fate, che oltre a condurre le fate in battaglia avevano un'insuperabile capacità: quella di condurre le mucche dove loro volevano mordendole ai garretti per portarla alla tribù che così poteva sfamarsi con il loro latte. I bambini, che con la famiglia possedevano delle mucche, furono incuriositi da quegli animali e dissero all'uomo che sarebbero stati molto utili anche a loro. Il folletto disse che potevano portarli con se ad una sola condizione: che gli avessero messo un collare con del ferro perché solo quel metallo li rendeva gestibili ed annullava l'antica maledizione di Cu Sith secondo cui dopo tre abbai consecutivi quei cani avrebbero distrutto chiunque avessero trovato davanti. I bimbi quindi si tolsero le cinture e le applicarono al collo dei cani e li condussero con se trovando loro dei perfetti compagni non solo di lavoro ma anche di vita. Ebbero solo un ultima domanda per il piccolo uomo: come li avrebbero chiamati e presentati alle altre persone? Lui rispose corgi, da cor, l'antico nome della gente piccola e che nella lingua delle fate significava semplicemente cane.
Qui gli altri racconti contenuti nel libro "E Dio aveva un Cane" di Stanley Coren
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