Inutile dire di no: a volte la tristezza la si cerca, ci si crogiola nel fatto di fare pena, di sentirsi dire "mi dispiace", di avere intorno qualcuno che
si occupa (e preoccupa) per noi.
E' qualcosa di strano e quando ci si entra dentro poi è difficile uscirne. Perché uscirne significa non essere più al centro dell'attenzione e dover andare avanti (anche) da soli. Ed è quello che a volte fa più paura.
Da quando mi sono rotta il ginocchio ho avuto un solo grande momento di scoramento: la sera stessa dell'infortunio. Più che il dolore in sé era tremendo il pensiero della possibilità di non giocare più, pensare di finire la mia "carriera" così, nella serata in cui ho fatto il record di punti, dire addio alla pallavolo ancora una volta non di mia spontanea volontà.
Poi c'è stata l'attesa dell'esito per la conferma della gravità dell'infortunio e tante persone che si interessavano ma molte altre che mi dicevano: non è mica una cosa grave. Avevo le stampelle, i legamenti a pezzi e mi sono sentita più volte dire: dai va be le cose gravi sono altre.
Ed effettivamente era ed è vero!!!
Ogni volta che ho provato a piangermi addosso (umore e sentimenti sono difficili da controllare razionalmente) sono stata letteralmente travolta dall'evidenza che ci sono gravità ben peggiori vicine a noi. E mi sono sentita così in colpa per essere triste per il mio semplice ginocchio!
Questo infortunio, senza essere retorica, mi ha aiutato a dare il giusto peso alle cose. Sportivamente la mia è stata una bella botta, fisicamente dovrò affrontare un'operazione e alcuni mesi di riabilitazione ma effettivamente non è una cosa grave. E non sono ne ironica ne risentita. Continuo ad essere profondamente dispiaciuta, ammetto che fatico ancora ad accettarlo pienamente però continuo ad addormentarmi la sera pensando di essere davvero una persona fortunata.
Non sto qui a fare la miss Italia di turno che parla di come siano tremende le guerre nel mondo e di come il terrorismo stia condizionando la nostra vita. Parlo di una sensazione strana che non so come definire, provo a dirvi "presa di coscienza": guardare realmente la vita, non solo la nostra ma anche quella di chi ci sta vicino, amico, conoscente e/o passante e rendersi conto che tutti prima o poi passano momenti difficili che possono essere di lavoro, di salute o sportivi e sarebbe bello che qualcuno mostrasse maggiore empatia perché è grazie alla vicinanza delle persone che si affronta tutto meglio. A me la cosa che ha aiutato di più sono state le serate in compagnia: amici che hanno scelto di farmi una sorpresa portando la pizza a casa o facendomi svagare andando dal giapponese o rispolverando vecchi giochi in scatola. Potrò non piegare il ginocchio ma muovo benissimo le mani per mangiare e muovere le pedine. Sentirsi ancora una del gruppo, una cosa che mi fa commuovere anche ora.
Eppure a volte la tristezza è una dolce trappola a cui non ci si riesce a sottrarre. Ogni tanto quando ero a casa da sola pensavo a quello che avrei potuto fare se avessi avuto un ginocchio sano e tra i mille pensieri c'è stato pure quello di un volteggio al trapezio.
Un volteggio al trapezio?!
Il fatto è che se anche avessi avuto il crociato a posto su quel trapezio non ci sarei salita mai quindi a volte la mente ci gioca brutti scherzi, prova a farci sentire peggio di quanto in realtà si sia e certe volte siamo deboli e cadiamo in quel tranello ma se siamo fortunati abbiamo vicino qualcuno che ci ricorda che effettivamente le cose gravi sono altre e che dovremmo essere grati di avere la possibilità di andare avanti. Con dolore e sacrificio magari ma... la vita continua. E viverla tristemente è uno spreco.
Ora capisco che tutta questa riflessione per un banale infortunio al ginocchio può sembrare esagerata ma in verità mi è venuta fuori anche in concomitanza con l'anno nuovo, periodo in cui si fanno bilanci sull'anno che è stato e si esprimono desideri sull'anno che sarà.
Ho avuto la fortuna che tutti i miei cari stessero bene, ho passato delle splendide serate in compagnia di amici che mi hanno riportata indietro di 15 anni, abbiamo riso dei miei vecchi passi malfermi e gioito di una mia camminata che sembri quasi normale e ancora una volta sono stata felice.
Sarà anche questo inverno strano, con queste giornate primaverili che mi regalano un sole inaspettato, ma non mi è più capitato di piangermi addosso; ho perso la motivazione a ribattere a qualcuno i dettagli tecnici della gravità del mio infortunio (le gare tra malati sono perenni e senza esclusione di colpi), ho smesso di rimanerci male se qualcuno non mi chiedeva come stavo e aspetto con ansia il giorno dell'operazione per ripartire, permettetemi la battuta, col piede giusto.
E volete che non ci metta dentro anche una spruzzata di cinofilia? ahahah! vi tocca. I cani (o i libri sui cani) mi hanno insegnato una cosa che dovremmo imparare da loro: a vivere il presente. Angustiarsi per il passato o stare in ansia per il futuro non serve a niente. E' difficile farlo per noi esseri pensatori che ci riempiamo di paranoie ma io l'ho trovato utile. Smettere di pensare a come sarebbe potuto andare e togliere aspettative a quello che potrebbe succedere è il mio compito quotidiano che condivido con voi. Spero che ci riusciate anche voi o che siate fortunati come me ad avere vicino delle persone che vi dicono: qualunque cosa succeda la affronteremo insieme; ed ora basta magone che devi fare un sacco di esercizi!
BUON ANNO A TUTTI!
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