Mi sono imbattuta in un libro scolastico del 1969 e tra i tanti bei testi, uno di quelli che mi ha colpito di più è questo che segue.
Lo pubblico oggi perchè nell'andare a lavoro ho sentito una signora di oltre cinquanta anni che diceva ad un ragazzo più giovane: devo prendere il treno alle 6.25 per venire qui però sai...è un sacrificio che faccio perchè è stata l'unica occasione che ho trovato, non sai quanto sia difficile trovare lavoro alla mia età. Il tono di sconforto che aveva mi ha toccato il cuore, come un pezzo in particolare di questa storia che...vi dirò a fine lettura.
Oggi come ieri...i nostri bisogni non sembrano cambiare. Leggete bene il finale.
C’era una volta, non so più in quale terra, una coppia di poverelli.
Ed
erano, questi due poverelli, così miseri che non possedevano nulla, ma proprio
nulla di nulla.
Non avevano pane da metter nella madia, né madia da mettervi
pane.
Non avevano casa per mettervi una madia, né campo per fabbricarvi
casa.
Se avesser posseduto un campo, anche grande quanto un fazzoletto,
avrebbero potuto guadagnare tanto da fabbricarvi casa.
Se avessero avuto
casa, avrebbero potuto mettervi la madia.
E se avessero avuto la madia, è
certo che in un modo o in un altro, in un angolo o in una fenditura, avrebber
potuto trovare un pezzo di pane o almeno una briciola.
Ma, non avendo né
campo, né casa, né madia, né pane, erano in verità assai tapini.
Ma non
tanto del pane lamentavano la mancanza, quanto della casa.
Del pane ne
avevano abbastanza per elemosina, e qualche volta avevan anche un po’ di
companatico e qualche volta anche un sorso di vino.
Ma i poveretti avrebber
preferito rimaner sempre a digiuno e possedere una casa dove accendere qualche
ramo secco o ragionar placidamente d’innanzi alla brace.
Quel che v’ha di
meglio al mondo, in verità, a preferenza anche del mangiare, è
posseder quattro
mura per ricoverarsi. Senza le sue quattro mura, l’uomo è come una bestia
errante.
E i due poverelli si sentirono più miseri che mai, in una sera
triste della vigilia di Natale, triste soltanto per loro, perché tutti gli altri
in quella sera hanno il fuoco nel camino e le scarpe quasi affondate nella
cenere.
Come si lamentavano e tremavano su la via maestra, nella notte
buja, s’imbatterono in un gatto che faceva un miagolìo roco e dolce.
Era, in
verità, un gatto misero assai, misero quanto loro, poiché non aveva che la pelle
su le ossa e pochissimi peli su la pelle.
S’egli avesse avuto molti peli su
la pelle, certo la sua pelle sarebbe stata in miglior condizione.
Se la sua
pelle fosse stata in condizion migliore, certo non avrebbe aderito così
strettamente alle ossa.
E s’egli non avesse avuta la pelle aderente alle
ossa, certo sarebbe stato egli forte abbastanza per pigliar topi e per non
rimaner così magro.
Ma, non avendo peli ed avendo invece la pelle su l’ossa,
egli era in verità un gatto assai meschinello.
I poverelli son buoni e
s’aiutan fra loro.
I due nostri dunque raccolsero il gatto e neppure
pensarono a mangiarselo; ché anzi gli diedero un po’ di lardo che avevano avuto
per elemosina.
Il gatto, com’ebbe mangiato, si mise a camminare d’innanzi a
loro e li condusse in una vecchia capanna abbandonata.
C’eran là due sgabelli
e un focolare, che un raggio di luna illuminò un istante e poi sparve.
Ed
anche il gatto sparve col raggio di luna, cosicché i due poverelli si trovaron
seduti nelle tenebre, d’innanzi al nero focolare che l’assenza del fuoco rendeva
ancor più nero.
«Ah!» dissero, «se avessimo appena un tizzone!
Fa
tanto freddo! E sarebbe tanto dolce scaldarsi un poco e raccontare
favole!»
Ma, ohimè, non c’era fuoco nel focolare, poiché essi erano miseri,
in verità miseri assai.
D’un tratto due carboni si accesero in fondo al
camino, due bei carboni gialli come l’oro.
E il vecchio si fregò le mani, in
segno di gioia, dicendo alla sua donna: «Senti che buon caldo?»
«Sento,
sento,» rispose la vecchia.
E distese le palme aperte innanzi al
fuoco.
«Soffiaci sopra,» ella soggiunse. «La brace farà la fiamma.»
«No,»
disse l’uomo, «si consumerebbe troppo presto.»
E si misero a ragionare del
tempo passato, senza tristezza, poiché si sentivano tutti ringagliarditi dalla
vista dei due tizzoni lucenti.
I poverelli si contentan di poco e son più
felici. I nostri due si rallegrarono, fin nell’intimo cuore, del bel dono di
Gesù Bambino, e resero fervide grazie al bambino Gesù.
Tutta la notte
continuarono a favoleggiare scaldandosi, sicuri ormai d’essere protetti dal
bambino Gesù, poiché i due carboni brillavan sempre come due monete nuove e non
si consumavano mai.
E, quando venne l’alba, i due poverelli che avevano avuto
caldo ed agio tutta la notte, videro in fondo al camino il povero gatto che li
guardava dai suoi grandi occhi d’oro.
Ed essi non ad altro fuoco s’erano
scaldati che al baglior di quelli occhi.
(E il gatto disse: «Il tesoro dei
poveri è l’illusione.»)
Quindi due poveri possono
essere privi di tutto ma ciò di cui sentiranno maggiormente la mancanza
saranno quattro mura in cui stare. Mi
è venuto un flash che mi ha portata fino ai giorni nostri quando molti
di noi stanno affrontando una crisi da cui non sanno più come uscire con
tasse sempre più alte da pagare e mutui che la gente non sa più come
estinguere. Tutto per...avere un tetto sopra la testa, dei locali per
dire questa è casa mia e per provare a chiudere fuori tutti (gli altri)
problemi.
Voi cosa ne pensate?
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